mercoledì 30 luglio 2008

Stato vegetativo - La scienza dimostra: quei pazienti consapevoli�

DI ANDREA LAVAZZA
D
a quando è ­stato dimostrato che i pazienti in stato vegetativo possono mantenere qualche forma nascosta di consapevolezza, dovrebbe valere il principio di precauzione: non possiamo fare morire una persona che forse ci sta sentendo e capisce che cosa accade a lei e intorno a lei.
Giuseppe Sartori, ordinario di Neuroscienze cognitive all’Università di Padova, conduce studi all’avanguardia sul cervello. Recentemente ha realizzato una 'macchina della verità' che è ­stata giudicata lo strumento potenzialmente più affidabile in questo settore. Oggi, da ricercatore rigoroso,­ è per lo meno stupito dall’approssimazione con cui è ­stato giudicato il caso di Eluana Englaro,­se la
giovane è ­davvero in stato vegetativo, come tutti dicono.
Professor Sartori, a quale studio fa riferimento?

Si tratta di una ricerca pubblicata sulla rivista
Science nel settembre 2006, che all’epoca ebbe un’eco internazionale (ne parlanche Avvenire, ndr). Adrian Owen, dell’universitdi Cambridge, e Steven Laureys, dell’università di Liegi, hanno dimostrato che una ragazza di 23 anni, in acclarato stato vegetativo a seguito di un incidente stradale con grave trauma cranico, mostrava di essere ­coscientemente e consapevole.
In che modo si è potuto appurarlo?

E' stato utilizzato uno scanner per la risonanza magnetica funzionale, che misura l’attivazione delle aree cerebrali attraverso l’afflusso di sangue ossigenato, indicatore di un metabolismo cellulare accelerato. Alla giovane, una volta inserita nella macchina, assolutamente non invasiva, ­è stato chiesto verbalmente di immaginare di giocare a tennis. Il risultato è ­che si è vista un’attivazione dell’area motoria supplementare, esattamente come accade in un gruppo di controllo composto da persone sane. Si è poi detto alla ragazza di immaginare di percorrere la propria abitazione, e in quel caso si è notata l’attivazione di una serie di altre regioni cerebrali, le stesse coinvolte nell’esecuzione del compito da parte di soggetti sani.

Che cosa ne consegue dal punto di vista scientifico?

Ne discende un ragionamento molto stringente, del quale non si trova traccia nei resoconti giornalistici sul caso. Se è vero che il correlato cerebrale della consapevolezza consiste nell’attivazione di alcune aree del cervello – le neuroscienze cognitive si basano proprio su quest’assunto
–, e almeno alcuni pazienti in stato vegetativo hanno un’attivazione del tutto simile a quella delle persone sane, se ne deve dedurre che questi pazienti possono essere consapevoli.
Ma lo studio di Owen riguarda una determinata giovane, pur diagnosticata in stato vegetativo secondo tutti i criteri internazionalmente riconosciuti...

vero. Ci sono però due considerazioni da fare. La primala risposta alle obiezioni svolta dallo stesso Owen: risultati negativi all’esame della risonanza non possono costituire una prova definitiva di mancanza di consapevolezza, perchè i cosiddetti falsi negativi sono comuni negli studi di neuroimmagine. In altre parole, anche nei sani capita di non riuscire a rilevare l’attivazione cerebrale, ma è ­evidente che essa avviene. In secondo luogo, una volta dimostrato che in qualche paziente in stato vegetativo rimane un barlume di consapevolezza, deve vigere, per così dire, il forte sospetto che anche altre persone nelle stesse condizioni siano almeno parzialmente consapevoli, mentre la malattia renda loro impossibile manifestarlo.

Alcuni neuroscienziati hanno contestato le conclusioni di Owen e Laureys, dicendo che la risposta registrata è ­sostanzialmente un riflesso automatico...

Non mi sembrano obiezioni conclusive. Non possiamo qui scendere nei dettagli tecnici, ma la ricerca è­ di grande rilevanza. E apre possibili nuove applicazioni degli studi di neuroimmagine.

A che cosa si riferisce?

Come già Owen accenna, la risonanza magnetica potrà permettere a questi pazienti di sfruttare le loro residue capacità cognitive per comunicare i loro pensieri modulando la propria attività cerebrale. Mi viene in mente un esperimento non troppo fantascientifico: si potrebbero fare domande al paziente, il quale dovrebbe rispondere immaginando di muovere la mano destra per il sì e di muovere la mano sinistra per il no. La premessa è ­che noi, oggi, da una ' fotografia' del cervello sappiamo capire quale mano viene mossa o, il che è ­lo stesso, quale mano si vorrebbe muovere.

Viene spontaneo pensare che tali test potrebbero essere realizzati anche su Eluana?

Certo. Non si può basare una sentenza che ha conseguenze irreversibili su assunti non dimostrati. Forse Eluana vede e capisce. Non cercare di appurarlo potrebbe originare un errore gigantesco. Un errore che ovviamente sarebbe irrimediabile.

Il neuroscienziato Giuseppe Sartori dell’Universitdi Padova:A una giovane in stato vegetativo è ­stato chiesto di immaginare di giocare a tennis, nel suo cervello si sono attivate le stesse aree che si accendono nelle persone sane Non si può ignorare un fatto di questa portata Si rischia un errore gigantesco, che non è rimediabile.

da "Avvenire" 15/07/08